di Gianluca Rapisarda
Pagine di storia
Premessa
La ricerca storica di recente ha cominciato a prestare sempre più attenzione al tema della cecità. Dopo i pioneristici lavori di Pierre Villey e di Pierre Henri (questi ultimi pubblicati a metà Novecento e dedicati in particolare alle biografie di Valentin Haüy, Charles Barbier, Louis Braille) o, per l’Italia, di Enrico Ceppi e Augusto Romagnoli (ma l’elenco non può né vuole essere esaustivo), è soltanto dall’inizio di questo secolo che si sono avuti contributi significativi sull’argomento da parte di studiosi come Michael C. Mellor, Zina Weygand, Catherine Kudlick. La storia dei ciechi (e la ricostruzione del ruolo dei ciechi nella storia) si va così arricchendo di contributi volti a considerare la cecità dal punto di vista storico-sociale (attraverso la ricostruzione del processo, a volte problematico, di inserimento nella società europea), politico-istituzionale (attraverso l’analisi degli interventi statali con particolare attenzione alle politiche scolastiche) e culturale.
Alla luce delle indicazioni contenute in questi lavori, grazie al contributo dell’Istituto per ciechi “Ardizzone Gioeni” di Catania, il Prof. Emanuele Rapisarda ha potuto analizzare e curare nel 2011 per conto dell’Università di Catania (Edizione Bonanno )la traduzione delle ”Lettere inedite di Louis Braille”.
Tale opera è stata resa possibile in virtù del rinvenimento da parte dello scrivente della versione originale delle “Lettere” di cui sopra, conservate all’Institut National des Jeunes Aveugles di Parigi e scritte da Braille fra il 1831 e il 1851. Nella sua traduzione in italiano, il Prof. Emanuele Rapisarda ha cercato da un lato di tratteggiare in maniera più dettagliata la figura di Louis Braille dall’altro di collocarla nel più ampio contesto della condizione dei non vedenti nella società francese della prima metà dell’Ottocento.
Tra XVIII e XIX secolo: un nuovo clima
Il processo che condusse alla creazione di un clima favorevole all’opera di Braille cominciò a delinearsi in Europa tra la fine del XVII ed il principio del XVIII secolo. A quel tempo, infatti, grazie alle teorie dell’empirismo e del sensismo, che attribuivano agli organi di senso ed all’esperienza l’origine del processo conoscitivo, si finì col riconoscere una certa rilevanza alle persone cieche. Esse diventarono, così, i miti fondatori e le figure paradigmatiche della nascente filosofia dei Lumi, in un processo che concorse a rivalutare la cecità, fino ad allora intesa in maniera principalmente negativa – malattia incurabile e marchio indelebile di vergogna, peccato e diversità.
Uno dei momenti importanti di questa riflessione può essere collocato nel 1693, quando William Molyneux in una lettera inviata al filosofo empirista inglese John Locke, gli sottopose un «problema curioso» che Locke incluse nella seconda edizione del suo An Essay Concerning Human Understanding (Saggio sull’intelletto umano) del 1694: se un uomo non vedente dalla nascita, abituato nel corso della sua vita a riconoscere perfettamente col tatto un cubo ed una sfera, dovesse improvvisamente recuperare la vista, egli potrebbe distinguere con l’esperienza visiva e senza toccarli i due summenzionati oggetti? Molyneux e Locke, prima, Berkeley e Voltaire, dopo, esclusero tale possibilità, convinti com’erano che, giacché non esistono idee innate e tutte le idee della mente dell’uomo derivano unicamente dall’esperienza, il cieco che recupera la vista deve riadattare la propria percezione del mondo dalle forme tattili degli oggetti alle loro immagini. Inoltre, tali argomentazioni tradivano ancora il pregiudizio della preminenza assoluta del senso della vista su tutti gli altri.
A tali speculazioni teoriche, poi, sembrarono sopraggiungere ben presto anche delle conferme sperimentali e pratiche. A tal proposito vanno ricordate le osservazioni cliniche fatte dal chirurgo inglese William Cheselden, che nel 1728 effettuò con successo il primo intervento chirurgico su un adolescente affetto da cataratta congenita e ne osservò il comportamento dopo l’operazione, suffragando quanto avevano asserito Molyneux, Locke e gli altri. Fu così che le persone cieche operate di cataratta diventarono una delle prove delle tesi sensiste del nascente Illuminismo. Tuttavia, ciò nonostante, i non vedenti rimasero nella prima metà del Settecento solo degli oggetti passivi e dei semplici spettatori di tali studi filosofici e sperimentazioni scientifiche.
Si dovette attendere la pubblicazione in Francia nel 1749 della Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient (Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono) dell’illuminista Denis Diderot per la maturazione di un nuovo sguardo sui non vedenti. Diderot, infatti, fu il primo ad osservare e ad indagare le persone cieche dal di dentro, preoccupandosi di descriverne dettagliatamente ed analiticamente gli usi, le principali occupazioni, le potenzialità e la loro percezione del mondo. Esemplari al riguardo appaiono le figure di cieco dalla nascita, il cosiddetto «cieco di Puiseaux», e del matematico inglese non vedente Nicolas Saunderson tratteggiate da Diderot nella sua Lettera. Il primo spicca per scaltrezza e prontezza intellettiva, il secondo per metodicità e per la straordinaria capacità di supplire col tatto alla mancanza della vista. Comincia così a configurarsi un nuovo cambiamento di contesto culturale, in cui non è più l’organo sensoriale della vista a predominare sugli altri, ma inizia a farsi largo quello del tatto (il cieco di Puiseaux, interrogato se avesse desiderato acquistare la vista, risponde che avrebbe voluto piuttosto perfezionare sempre di piu’ il tatto, poiché, mentre gli occhi possono sempre sbagliare, le mani sono infallibili). In tale nuovo ambito culturale si innestano le figure di Georges-Louis Leclerc Buffon, autore di una poderosa Histoire naturelle (Storia naturale) pubblicata a partire dal 1749, in cui sostiene il primato del tatto sulla vista, e Jean-Jacques Rousseau, che nel suo celebre Emile (Emilio) del 1762, asserendo quanto l’affinamento del tatto potesse servire tanto ai bambini non vedenti quanto a quelli vedenti, getta le basi di una pedagogia tattile che utilizzi l’esperienza del tatto per l’educazione delle persone cieche.
Si inizia così ad affermare nella Francia della seconda metà del ‘700 l’assunto che l’uomo non possiede un solo organo di senso e che in caso di assenza di uno qualsiasi degli organi sensoriali, gli altri possono intervenire a sostituire quello deficitario o mancante. E’ questo il presupposto su cui si fa strada la cosiddetta pedagogia della «vicarianza» (compensazione) che mira ad educare i disabili sensoriali (sordomuti e ciechi) facendo leva sulle abilità di cui essi sono dotati per «vicariare» quelle di cui sono privi. Al riguardo, si distinse nella Francia di quegli anni l’opera illuminata e benefica dell’abate Charles-Michel de l’Épée in favore dell’educazione delle persone sordomute e del traduttore Valentin Haüy per l’educazione di quelle cieche.
Il primo, negli anni Settanta del XVIII, secolo si prodigò a realizzare una grandiosa opera di istruzione collettiva e pubblica dei sordomuti fondata sull’uso del linguaggio naturale dei segni e dei gesti per superare i deficit uditivi, dando prova dei soddisfacenti risultati ottenuti in diverse esibizioni pubbliche. Valentin Haüy, primo maestro dei ciechi, profuse tutte le sue energie per garantire al maggior numero di non vedenti di ogni classe sociale la possibilità di accedere alla cultura attraverso l’apprendimento della lettura e della scrittura coi caratteri ordinari in rilievo, mirando a fare del senso del tatto il punto di forza del riscatto culturale degli individui ciechi.
E’ noto l’episodio che determinò l’impegno benefico di Haüy, ispirato alla Lettera di Diderot ed all’attività di istruzione pubblica di massa di Charles-Michel de l’Épée. Nel 1771, dopo la partecipazione ad un concerto burlesco presso un Caffè parigino tenuto da un’orchestra di non vedenti dell’ospizio dei Quinze-Vingts (il celebre asilo fondato a metà del XIII secolo da San Luigi per i soldati divenuti ciechi durante le Crociate), scioccato e profondamente ferito dal modo farsesco con cui venivano rappresentati e fatti esibire i disabili visivi, Haüy giurò a se stesso che avrebbe fatto leggere, scrivere e suonare armoniosamente i ciechi di tutti gli ordini sociali. Così, negli anni successivi (caratterizzati, fra l’altro, dalla fondazione nel 1780 della prima Société Philantrophique con scopi di assistenza per i portatori di handicap) egli concepì il suo Plan general d’Institution (1784) che consisteva nel lungimirante progetto educativo di istruire a leggere, scrivere e far di conto i bambini nati ciechi di tutte le estrazioni sociali.
Due anni dopo Haüy poté codificare il suo metodo educativo, facendo stampare agli stessi allievi non vedenti un suo Essai dedicato al re e finalizzato ad istruire i non vedenti di ogni ceto alla lettura, alla scrittura, al calcolo matematico, alla storia, alla geografia, alla musica coi caratteri lineari in rilievo nonché all’apprendimento di alcuni mestieri quali la filatura, la tessitura e la stampa. Gli studenti privi della vista imparavano a leggere su libri che venivano stampati coi caratteri normali in rilievo e a scrivere con la matita o la penna per mezzo di placche, su cui erano incise le forme delle lettere dell’alfabeto, e con dei «guidamano» formati da una serie di fili tesi a distanza opportuna.
Nel 1791, in piena Rivoluzione francese, in ossequio ai principi rivoluzionari di Egalité e di Fraternité, l’Istituto dei bambini ciechi dalla nascita di Haüy venne unificato a quello dei sordomuti, per esserne poi separato nel 1794 ed assumere l’anno seguente la nuova denominazione di Institut national des aveugles-travailleurs (Istituto nazionale dei ciechi lavoratori). Esso fungeva sia da ospizio che da scuola e vide il definitivo passaggio dal patrocinio privato della Société Philanthopique a quello statale. Durante l’eta’ napoleonica l’Istituto fu accorpato all’ospizio dei Quinze-Vingts (1800) per motivi principalmente economici, perdendo notevolmente il carattere di istituto d’educazione e di inserimento lavorativo. Nello stesso periodo, Napoleone fondò l’Hotel des Invalides per l’accoglienza dei ciechi di guerra. In questo stesso periodo nascevano anche in diversi paesi europei le prime istituzioni scolastiche per non vedenti: a Liverpool nel 1791, a Vienna nel 1804, a Berlino e a San Pietroburgo nel 1806, etc.
Con la Restaurazione, l’Istituto fu nuovamente distaccato dall’Hospice des Quinze-Vingts (1815) riacquistando la sua autonomia ed assumendo il nome di Institution royale des jeunes aveugles. Qui, sotto la direzione di Alexandre-René Pignier, Louis Braille perfezionò il suo alfabeto di lettura e scrittura dei ciechi.
Louis Braille e il nuovo sistema di scrittura e lettura per ciechi
Il sistema concepito da Braille si ispirava al procedimento di scrittura notturna a dodici punti pensato dall’ex ufficiale d’artiglieria ed appassionato di scrittura rapida e segreta, il francese Charles Barbier de La Serre. Questi, nella suo opera Essai sur divers procédés d’expéditive française contenant douze écritures différentes avec une Planche pour chaque procédé (Saggio su diversi procedimenti d’espeditiva francese contenente dodici scritture differenti con una tavola per ogni procedimento), codificò nel 1815, tra gli altri sistemi di scrittura rapida, un sistema di scrittura facile per insegnare a leggere e a scrivere a tutti coloro che, per svariati motivi, avevano difficoltà a farlo con i metodi tradizionali. Esso si basava su dodici caratteri puntiformi in rilievo disposti su due colonne verticali da sei, dalla cui combinazione, regolata secondo una tavola predefinita che gli studenti dovevano apprendere preventivamente, derivava la rappresentazione delle lettere e dei suoni dell’alfabeto. Il sistema Barbier, chiamato pure sonografia, ben si adattava alla lettura e scrittura notturna dei militari, ma anche, soprattutto, alla possibile applicazione ai non vedenti. Fu così che Pignier, recependo in modo lungimirante le riserve dei non vedenti sui caratteri ordinari in rilievo e sui vecchi sistemi di apprendere la scrittura in corsivo, poco adatti ai bisogni percettivi del tatto ed alla scrittura per le persone cieche, lo cominciò a sperimentare all’Institut. Gli allievi ne furono subito entusiasti, ma presto ne colsero alcuni piccoli difetti. Ne derivarono riflessioni ed osservazioni critiche; da queste, e in particolare da quelle argute, brillanti e precise fatte dal giovane Braille, che fece notare come dodici punti fossero troppi per un’esplorazione tattile veloce, nacque il celebre sistema a sei soli punti in rilievo disposti su due colonne verticali da tre inventato da quest’ultimo.
Ma chi era Louis Braille?
Braille venne al mondo il 4 gennaio del 1809 in Francia a Coupvray, un paesino vicino Parigi, da una famiglia che se non versava nell’indigenza, certo non era neppure ricca. Egli era l’ultimo figlio di quattro fratelli: Catherine-Josephine, Louis-Simon, Marie-Celine ed, appunto, Louis, il beniamino, l’ultimo figlio, nato undici anni dopo la terzogenita. Il padre, Simon-René Braille, faceva il sellaio; la madre Monique Baron non lavorava.
Braille divenne cieco alla tenerissima età di tre anni a causa di un tragico e disgraziato incidente occorsogli nel laboratorio paterno. Mentre giocava afferrò un trincetto per tagliare il cuoio e, nel tentativo di sezionare delle cinghie, finì con l’essere colpito ad un occhio. Di li’ a poco, come accade in tutti i casi di oftalmite simpatica, si infetto’ pure l’altro occhio ed il bambino perse sfortunatamente del tutto la vista. I genitori di Braille, malgrado fossero estremamente provati da tale brutto colpo, non s’abbatterono e, convinti com’erano dell’importanza della cultura (a casa Braille tutti sapevano leggere e scrivere), vollero che il ragazzino frequentasse la scuola del villaggio dove Braille spicco’ per dolcezza ed intelligenza. Inoltre, il padre gli commissionava spesso dei lavoretti manuali, come il confezionamento delle frange per le selle, che gli servirono per perfezionare le abilita’ tattili. Successivamente, su consiglio dell’abate e dell’istitutore di Coupvray, chiesero l’ammissione del figliolo all’Institution royale des jeunes aveugles, ricevendo il consenso all’iscrizione il 15 gennaio del 1819. Il mese dopo Louis Braille metteva piede nei vetusti ed umidi locali dell’edificio che ospitava l’Institution (il vecchio seminario di Saint Firmin fino al 1843, anno nel quale l’Institut venne trasferito nell’odierno e più salubre complesso sito al Boulevard des invalides). Dal suo ingresso nell’Institution Braille visse in internato fino alla sua morte, sicche’ l’Istituto si trasformo’ nella sua seconda casa, dalla quale egli s’allontano’ solo per i soggiorni di vacanza e di riposo trascorsi nella sua Coupvray. Se da un lato l’Istituto gli offri’ l’opportunità di raggiungere una notevole preparazione culturale ed un certo prestigio sociale (Braille divento’ prima ripetitore e poi professore dell’Institution), dall’altro molto presto la salute del fragile Braille comincio’ ad essere irrimediabilmente compromessa dalla prolungata permanenza all’interno dei malsani ambienti del vecchio seminario. Infatti, sia che egli fosse gia’ affetto da tubercolosi quando entro’ all’Istituto, sia che, com’e’ piu’ probabile, abbia contratto la tisi nel seno di quegli insalubri locali, manifesto’ le prime avvisaglie del terribile morbo intorno all’eta’ di 26 anni e fini’ con l’andare incontro ad una morte precoce quando aveva solo 43 anni.
All’interno dell’Institution Braille si distinse ben presto per la sua predisposizione allo studio delle lettere e delle scienze, vincendo ogni anno numerosi riconoscimenti e premi. Eccelleva pure per la sua destrezza manuale e per il suo talento musicale. Egli era, soprattutto, un virtuoso organista e suonava (ed accordava ) pure piuttosto bene il pianoforte ed il violoncello.
Ma la memoria della figura di Braille sara’ indelebilmente legata all’invenzione del suo sistema di lettura e di scrittura per le persone non vedenti. Il Braille, dalla sua ideazione fino ad oggi, ha rappresentato, infatti, uno strumento indispensabile per l’accesso dei ciechi alla cultura e per il loro inserimento sociale, strappandoli al loro passato di mendicanti per portarli a svolgere con merito le piu’ svariate professioni. Ecco perche’ Louis Braille si merito’ giustamente l’appellativo di “Johan Guttenberg” dei ciechi” ovvero di loro benefattore.
La genesi del Braille affonda le sue radici al già descritto procedimento Barbier. Dopo l’introduzione della sonografia di Barbier presso l’Institut a partire dal 1821, infatti, l’arguto adolescente Braille, incuriosito da quel nuovo sistema, comincio’ a farne largo uso, notandone, pero’, subito degli inconvenienti. Barbier non dovette accettare di buon grado i rilievi mossigli dal giovane Braille, ma questi non demorse e prosegui’ nella sua opera. Gia’ nel 1825 Braille aveva concepito per grandi linee le sue modifiche al procedimento del vecchio ufficiale, ma si concesse ancora qualche anno di riflessione e sperimentazione per codificare definitivamente il suo sistema nel 1829. In tale anno egli detto’ al suo amato direttore, monsieur Pignier, il suo Procédé pour écrir les Paroles, la Musique et le Plain-chant au moyen des points, à l’usage des aveugles et disposé pour eux (Procedimento per scrivere le parole, la musica ed il canto pieno attraverso i punti ad uso dei ciechi e disposto per loro), in cui egli espose per la prima volta il suo nuovo geniale aiatema. I motivi che lo avevano indotto a proporre il superamento della metodologia sonografica di Barbier erano: occupare meno spazio per adattarsi meglio alle necessita’ di una piu’ veloce esplorazione con le dita (infatti Braille fonda il suo procedimento su sei soli punti in rilievo collocati in due colonne verticali parallele da tre punti ciascuna piuttosto che su dodici punti in due colonne da sei; due punti del Braille occupavano lo spazio di un punto del Barbier); poter rappresentare tutti i caratteri dell’alfabeto, sia le lettere semplici che accentate, nonché i segni di punteggiatura, le cifre ed i simboli matematici; poter rappresentare anche le note musicali. Comunque Braille, pur se ventenne, riconobbe apertamente nell’avvertenza alla succitata opera che senza il sistema di scrittura notturna di Barbier non ci sarebbe stato il suo sistema. Infatti, la tavoletta, il righello ed il punteruolo necessari per la scrittura Braille derivano da quelli del Barbier.
Il Procédé del 1829 venne stampato in caratteri lineari in rilievo; poi, quando venne esposto nel 1834, venne stampato pure coi punti in rilievo. Esso conteneva pure una parte finale con l’indicazione di un sistema di rappresentazione stenografica del Braille dotato di soli venti segni (in questo sistema stenografico tre punti del Braille occupavano lo spazio di un punto del Barbier). Tuttavia, Louis Braille si rese conto che nella prima edizione del 1829 vi erano dei piccoli difetti, come, ad esempio il fatto che alcuni segni che indicavano cifre, la punteggiatura e i simboli matematici presentavano dei tratti lisci ovvero delle lineette indistinguibili dai due punti in successione e che, inoltre, al di la’ delle buone intenzioni, il lavoro del 1829 non aveva ancora formalizzato una vera e propria notazione musicale coi punti in rilievo. Per superare tali problemi Braille redasse una seconda edizione del suo Procedé che venne stampata in rilievo lineare nel 1837. Qui l’autore soppresse i tratti lisci, introdusse il segna-numero e codifico’ il suo sistema musicale in punti in rilievo. La nuova edizione venne esposta ai Prodotti dell’industria nel 1839. In quest’edizione Braille aggiunse pure la preghiera del Padrenostro, stampata sia coi punti in rilievo che coi caratteri lineari in rilievo, oltre che in francese, pure in latino, italiano, spagnolo, tedesco ed inglese, come primo tentativo di applicare il suo nuovo procedimento ad altre lingue europee. In tale direzione Pignier invio’ un esemplare dell’opera di Braille negli Stati Uniti e in diverse città europee (tra le quali Milano e Napoli).
Nel 1839 Braille, infine, si dedico’ appassionatamente all’abbattimento di un’altra barriera apparsa prima di lui insormontabile: la possibilita’ di corrispondenza scritta tra non vedenti e vedenti. Fu cosi’ che pubblico’ in quell’anno il Nouveau procédé pour représenter par des points la forme même des lettres, les cartes de géographie, les figures de géométrie, les caractères de musique etc., à l’usage des aveugles (Nuovo procedimento per rappresentare attraverso dei punti la forma stessa delle lettere, le carte di geografia, le figure di geometria, i caratteri della musica, ecc, ad uso dei ciechi). In tale lavoro descrisse un sistema che permetteva ai privi della vista, avvalendosi di una tavoletta, di una griglia e di un punteruolo, di comunicare coi vedenti, raffigurando attraverso la combinazione di dieci punti in rilievo la forma delle lettere dell’alfabeto, cosicche’ esse potevano essere controllate col tatto dalle persone prive della vista e lette da quelle vedenti. Quindi, lavorando al perfezionamento dell’obiettivo di garantire la corrispondenza tra i ciechi ed i vedenti, nel 1841, l’ingegnoso degente dei Quinze-Vingts Pierre-François-Victor Foucault concepi’ con Braille una macchina (poi chiamata raffigrafo) che scriveva con rapidita’ e precisione le lettere dell’alfabeto in rilievo.
Negli anni successivi, purtroppo, gli attacchi della tisi si fecero sempre piu’ frequenti e violenti, sicche’ l’infermo Braille dovette gradualmente ridurre i suoi intensi ritmi di lavoro. La sua salute si aggravava progressivamente di anno in anno, finche’ la malattia se lo porto’ via dal mondo terreno il 6 gennaio del 1852. Le sue spoglie prima sepolte al cimitero della sua cittadina natale, vennero poi trasferite in occasione del centenario della sua morte nel Pantheon di Parigi, come tributo postumo di gratitudine eterna di tutta la nazione francese al genio del suo illustre figlio, famoso ormai in tutto il mondo. Il sistema di Braille, infatti, dopo le iniziali difficolta’ ad imporsi (in quanto considerato, erroneamente, come un mezzo di segregazione del non vedente, piuttosto che di sua integrazione) ebbe il suo primo riconoscimento internazionale al Congresso universale per il miglioramento della sorte dei ciechi e dei sordomuti tenuto a Parigi in occasione dell’Esposizione universale del 1878, quando venne decisa la prima generalizzazione internazionale del sistema Braille originale non modificato. Quindi, seguirono nel 1917 l’adozione del Braille originale pure negli Stati Uniti d’America, nel 1929 il riconoscimento internazionale della Notazione musicale Braille ed, infine, nel 1949, su decisione dell’Unesco, l’uniformita’ dei vari alfabeti Braille, cosicche’ esso venne adottato nelle lingue arabe, in quelle orientali e nei dialetti africani, diventando, cosi’, il sistema universale di lettura e di scrittura dei ciechi di tutto il mondo.
Ma chi era veramente Louis Braille? Un’analisi delle già citate lettere private ci permette una conoscenza piu’ circostanziata e ravvicinata dell’uomo privato consegnandoci il ritratto di una persona sensibilissima, umile, caratterizzata da una timidezza e da un pudore forse persino eccessivi.
Le “Lettere inedite di Louis Braille”
di Emanuele Rapisarda
Tali “Lettere inedite” si possono sostanzialmente dividere in tre gruppi: le lettere scritte di proprio pugno dallo stesso Braille tra il 26 agosto 1831 ed il 1 ottobre 1835; quelle dettate a degli scrivani tra il 2 gennaio 1832 ed il 2 ottobre 1833; quelle scritte al raffigrafo da Braille tra il 14 giugno 1842 ed il 25 febbraio 1851.
Le epistole scritte di proprio pugno dallo stesso Louis Braille sono dieci e sono indirizzate tutte al Direttore dell’Institut, Monsieur Pignier. Ognuna di esse fu scritta dalla cittadina natale di Coupvray nel periodo compreso tra i mesi di agosto ed ottobre, quando Braille si recava per trascorrere le vacanze dopo la fine dell’anno scolastico e per rimettersi in salute. Da questi documenti si palesa la devozione e l’amicizia del giovane Braille per il suo direttore, al quale il mittente si rivolgeva con rispetto (le lettere si chiudevano quasi sempre con la formula «mi onoro di essere il suo rispettoso ed affezionato allievo»).
Le epistole evidenziano, inoltre, il grande attaccamento di Braille per la sua famiglia e un rapporto ambivalente con il suo luogo di nascita. Nell’agosto del 1831, ad esempio, scriverà: «a Coupvray mi ritornano tristi ricordi ai quali non posso sottrarmi», ma già due mesi dopo non esita a comunicare che «la campagna è il mio unico luogo specifico» o ancora, due anni dopo parla dei «piaceri della campagna durante le belle giornate d’autunno». Il desiderio di Parigi resta comunque forte: «occorre che la mia famiglia e la mia salute mi siano molto care per resistere al desiderio che avevo di ritornare a Parigi» scrive infatti il 29 settembre del 1834.
Una grande attenzione veniva dedicata alla sua salute e a quella degli altri. Il 2 ottobre del 1831 scriveva a Pignier: «innanzitutto vivere, poi lavorare: la salute e’ un tesoro di cui non conosciamo il prezzo fino a quando non la perdiamo» e, ancora due anni dopo, il 22 ottobre 1833: «Bodoin e’ probabilmente ancora come me, ahimé. Poveri ragazzi che siamo, non avremo questa felicita’. Quanto a me, non soffro tanto quanto altri della nostra infermita’, ma essa non ne e’ meno grande». Collegata a ciò è la profonda religiosita’ dell’autore («era quello che mi ero proposto, ma l’uomo ordina e Dio dispone» scrive il 26 agosto del 1831).
Braille, poi, con estremo riserbo, tradisce una certa stima e considerazione per la sorella di Pignier. Presenta infatti i suoi rispetti ed i suoi garbati saluti alla donna praticamente in ogni sua lettera manoscritta ed in una di esse, in quella del 22 ottobre 1833 scrive: «spero di passare piacevolmente ed utilmente il nostro prossimo anno scolastico, soprattutto approfittando della compiacenza della sua buona sorella che mi ha promesso di aiutarmi nei miei studi».
Non manca poi anche di un certo senso dell’umorismo e di una certa impertinenza. Dirà l’11 ottobre 1831: «sono gia’ quindici giorni che non ho avuto l’onore di avere sue notizie. Se volessi fare dello spirito insipido, le direi che sono persuaso che mi abbia scritto e che bisogna anche che reclami la sua lettera alla posta»; o il 20 settembre del 1831: «ho dimenticato di parlarle, prima della mia partenza, di Roustant che potrebbe essere ammesso alla classe superiore se lei lo giudica opportuno. Non mi dica: accidenti a te, chiudi la bocca. Ancora una parola e finisco per parlarle dell’ammissione dei nuovi retori alla classe di storia».
Dalle lettere si evince anche una personalita’ poliedrica, piena di interessi e premurosa con gli allievi e gli amici (11 ottobre 1831: «mi fanno delle letture, accordo pianoforti, gioco a carte e a scacchi e sto bene”, o il 22 ottobre del 1833 «do’ delle lezioni di canto») e il 22 ottobre 1833: «fra otto giorni saro’…fra i miei compagni che mi hanno provato cosi’ bene la loro amicizia».
Le otto lettere dettate da Braille ad uno scrivano pubblico tra il 1832 ed il 1833, oltre a confermarci alcuni aspetti già evidenziati (la stima per Pignier, l’interesse per la sorella, la nostalgia dei compagni) ci rivelano altri aspetti della personalità di Braille. In particolare, da questo gruppo di lettere emerge una certa malinconia ed un desiderio di solitudine. Detterà a Coupvray il 23 settembre 1833: «leggo quando scende la nebbia ed il resto del tempo vado nei campi. Evito anche di trovarmi in societa’ per non parlare molto».
Alcune lettere ci informano, poi, su una vicenda che caratterizzò la vita di Braille nel suo soggiorno a Coupvray del 1832: la possibilità, poi fallita, di diventare organista della città di Meaux, capoluogo del dipartimento dove è situata Coupvray. E’ lo stesso Braille che riferisce di questa sua opportunita’ ed ambizione. A tal proposito, a Lagny, il 6 settembre 1832, detto’ una lettera in cui informava Pignier che l’organista di Meaux era morto la settimana precedente. Nelle successive lettere riguardanti quest’affare Braille informera’ delle motivazioni che lo porteranno a rinunciare a quell’incarico da cui si evince tutta la sua sagacia. Infatti, nella lettera dettata il 28 settembre 1832 da Meaux faceva scrivere: «il posto di organista e’ di 350 franchi, un accordatore di pianoforti ha l’intenzione di stabilirsi a Meaux e vi sono davvero poche cattedrali. Dal consiglio dei miei genitori e, conformemente alle sue buone intenzioni per me, ho detto a Monsignore l’abate Pelais che rinuncio al posto. Ho dimenticato di dire che la vita e’ diventata cara a Meaux…». Il 18 ottobre dello stesso anno, poi, dettava: «permetta, signore, che osi di correggere l’errore del mio precedente scrivano, pregandola di dire ai miei compagni l’esito del mio affare di Meaux perche’ e’ giusto che lo conoscano poiche’ hanno fatto dei voti e dei sacrifici per farlo riuscire; mi parlano ogni tanto ancora di quel posto e mi dicono che la principale fonte di guadagno consista nei balli dei borghesi, di conseguenza, bisogna spesso passare la notte fuori casa nei castelli vicini, condizioni che non possono combaciare con un posto in seminario, ma io ho rinunciato completamente a quel progetto» ed ancora il successivo 30 ottobre: «quello che piu’ ci affligge e’ che i suoi sforzi e dei suoi amici siano diventati inutili…Tuttavia lei mi avrebbe preso per folle se avessi obbedito alla vanita’ che voleva farmi fare l’organista a qualunque costo. Quest’affare mancato mi sara’ piu’ propizio di quanto lei non pensi nell’Istituzione».
L’ultimo gruppo di lettere è costituito da quattro epistole scritte al raffigrafo da Braille per il caro Pignier.
Nella prima e nella seconda di esse, scritte il 14 giugno ed il 2 novembre 1842, Braille scrive di un ricevimento di un tale sig. Pasquier, per partecipare al quale, chiedeva a Pignier, con la consueta delicatezza ma anche con una certa insistenza, se gli poteva procurare due biglietti di accesso: ne vien fuori l’immagine di un Braille attratto anche da qualche piacere mondano.
Ma e’ la terza di tale gruppo finale di lettere che e’ particolarmente significativa. Essa fu scritta da Braille l’11 ottobre del 1844 a Chamalieres, dove egli si trovava in soggiorno durante i mesi di vacanza dall’Istituzione. In tale epistola, infatti, da un lato, possiamo avere delle conferme al piacere che gli dovevano procurare sia la campagna ed il sole di settembre, che facevano maturare l’uva e lo facevano stare bene, sia la musica, che in quel periodo egli suonava in un trio di pianoforte, voce e violoncello che elettrizzava il vicinato. D’altra parte, nella stessa lettera Braille riferiva pure della tristezza che gli metteva l’avvicinarsi della brutta stagione, che gli annebbiava l’orizzonte del futuro e avrebbe potuto impedirgli di realizzare al ritorno a Parigi il suo ardente desiderio di passare i pomeriggi dalla signorina Pignier, nonche’ della sua preoccupazione per le condizioni della sua povera madre, che non vedeva da tempo, e per la propria salute, ormai, purtroppo, sempre piu’ instabile per l’aggravarsi della tubercolosi, che sebbene appariva migliorata per via del soggiorno in campagna, era sempre appesa ad un filo (scriveva: «e’ la corteccia e non l’albero stesso che e’ divenuta migliore»).
Vi sono, poi, all’interno di questo corpus di lettere, anche due epistole erroneamente attribuite a Louis Braille e che in realta’ furono scritte da suo fratello maggiore Louis-Simon. Questi spedira’ due missive a Pignier nel 1831: la prima il 30 maggio e la seconda il 3 giugno. Nella prima lo informa delle gravi condizioni di salute del padre e, a nome di quest’ultimo, lo ringrazia delle attenzioni riservate al fratello Louis, raccomandandosi a lui ed alla sorella affinche’ non abbandonino mai Louis. Nella seconda lettera, dopo il doloroso decesso del padre, parla di tale infausta notizia a Pignier, riferendogli che la partecipazione dello stesso e della sorella all’afflizione di tutta la famiglia Braille per la recente morte del padre era consolatrice. Dunque, non e’ difficile arguire il profondo legame affettivo reciproco esistente tra la famiglia Braille e i due Pignier, nonche’ il grande senso di gratitudine e riconoscenza che i familiari di Louis Braille provavano per il Direttore dell’Institution e la sorella per le loro benevole premure verso il loro sfortunato congiunto.
Il Louis Braille che è possibile desumere da queste lettere è una personalità ricca, per certi versi geniale, ma allo stesso tempo articolata: se da un lato l’immagine che se ne ricava è quella di un uomo colto, ricco di interessi e aperto al mondo circostante, dall’altro risulta evidente anche una certa sofferenza interiore derivata dalla sua condizione. Su questa personalità dovette sicuramente influire anche la nuova condizione dei ciechi nella società del tempo: se da un lato i non vedenti beneficiavano dei nuovi processi sociali e culturali che li riguardavano in prima persona, dall’altro doveva ancora completamente avviarsi la loro completa emancipazione. Di tutto ciò queste lettere, che ci restituiscono il clima del tempo e la personalità di Braille, ne sono una preziosa testimonianza.
Traduzione di Emanuele Rapisarda