Il sostegno è una medicina: fa bene solo quanto basta

di Beatrice Ferrazzano.

Anche tra gli addetti ai lavori c’è una gran confusione su quali siano gli obiettivi prioritari nell’educazione di un minorato della vista. I tagli di cui si parla tanto in questi ultimi giorni, stanno seminando il panico tra le famiglie e la scuola, e probabilmente a ragione. Però vorrei fare alcune riflessioni che scaturiscono dalla mia esperienza professionale. La proporzione più ore di sostegno uguale migliore integrazione scolastica non corrisponde sempre al vero. Paradossalmente potrebbe funzionare il contrario, come processo inversamente proporzionale.
In uno scambio in rete su queste tematiche ho letto questa affermazione che condivido:
Il sostegno è una medicina: fa bene solo quanto basta. Sarebbe ormai il caso di puntare finalmente alla qualità del servizio, sapendo che più ore di personale non qualificato costituiscono spesso un ostacolo, se non addirittura un danno.
Parlo ovviamente di alunni minorati della vista senza minorazioni aggiuntive, nel caso di alunni pluriminorati le considerazioni sarebbero differenti.
In cima alla lista, per tutti gli ordini di scuola, la meta prioritaria dovrebbe essere
l’autonomia intesa come abilità nelle attività quotidiane, ma anche come capacità di
saper decidere, di saper fare delle scelte, di saper gestire lo studio, di autodeterminarsi, di risolvere dei problemi, di affrontare le difficoltà. Le mie affermazioni naturalmente non si riferiscono indistintamente ad ogni ordine di scuola.
Per la scuola elementare non ritengo possibile fare a meno dell’insegnante di sostegno perché è in questi anni che si acquisiscono le abilità di base, l’uso della strumentazione specifica e matura progressivamente l’autostima del bambino, in caso contrario, l’alunno non avrebbe alternativa diversa che essere lasciato a se stesso.
Fondamentale è in questi anni promuovere l’autonomia come ho detto prima e invece riscontro spessissimo una certa deresponsabilizzazione dei bambini in determinate attività.
In pratica, quando c’è l’insegnante a supervisionare, va tutto bene, quando l’insegnante non c’è alcuni libri rimangono a scuola, i compiti non vengono segnati sul diario, perché solitamente è l’insegnante che se ne occupa, il materiale sparisce, eccetera. Questi sono alcuni esempi.
Questi fatti potrebbero sembrare secondari, ma non lo sono affatto poiché saper organizzare da soli i propri spazi, il proprio tempo, il proprio materiale, è un passaggio fondamentale per il raggiungimento dell’autonomia e della fiducia in sé stessi. Non far attenzione a qualcosa perché c’è qualcun altro che ci pensa, è un modo di vivere che ha ripercussioni anche al di fuori dell’ambito scolastico. Tutti i bambini devono fare i conti con questa abilità da acquisire sin dai primi mesi di scuola.
E’ sottinteso che tale condizione non può essere pretesa, stolto sarebbe l’insegnante che lo facesse, ma va costruita giorno dopo giorno, attraverso un progetto educativo lungimirante.
Quando sotto il profilo del profitto le cose procedono bene, spesso scuola e famiglia si sentono gratificate, ma come abbiamo visto non è sufficiente.
Se nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria sono stati perseguiti e raggiunti questi obiettivi, siamo pronti nella scuola di secondo grado a diminuire o progressivamente fare addirittura a meno dell’insegnante di sostegno. Prima di dissentire consentitemi di arrivare fino in fondo: cosa dovrebbe fare un insegnante di sostegno nella scuola secondaria?
Alcuni registrano libri ai loro allievi, ma questo rientrerebbe nel servizio di lettorato di competenza di altre amministrazioni; altri trascrivono lezioni in braille… altri ancora provvedono a prendere gli appunti agli allievi o a sintetizzare loro le lezioni disabilitando in tal modo nell’allievo sia la capacità di prendere appunti che quella relativa alla selezione delle informazioni… Molto spesso questi insegnanti, sedendo accanto all’allievo, in realtà abdicano al ruolo di autorità docente per scegliere quello del compagnone, del complice.
Svolgendo un ruolo più di mediazione didattica con gli insegnanti, che di sostegno, e di mediazione sociale con i coetanei… offrendo in tal modo un sottoprodotto di scuola ed espropriandoli di fatto del rapporto didattico con l’insegnante della disciplina e della relazione con i pari.
Ma queste presenze che effetto hanno sull’allievo-figlio, sulla sua percezione del sé e su quella che gli altri ne hanno e ne avranno? Il pedagogista Andrea Canevaro fa osservare come il sostegno possa creare dipendenza… L’insegnante di sostegno dovrebbe operare affinché l’allievo non abbia più bisogno di sostegno, ma se fa ciò rende inutile la funzione dell’insegnante di sostegno e pertanto ne provoca il licenziamento… Quindi l’allievo disabile deve sempre rimanere sostegno-dipendente!
Questo processo di autonoma gestione deve cominciare dalla scuola secondaria altrimenti si arriverà all’università, per chi ci arriverà, con la costante necessità di un angelo custode che medi sempre e comunque. Gli studenti minorati della vista hanno bisogno di servizi non di qualcuno che faccia al loro posto.
Io ho seguito per alcuni anni una brillante studentessa, ottimi voti a scuola, grande capacità di astrazione, padronanza delle strumentazioni, ma quando è arrivata all’università: fallimento, rinuncia. Ma come è possibile? Mi sono interrogata a fondo. Cos’è che non è andato? E sono arrivata alla conclusione che non le era stato insegnato un adeguato metodo di studio e che facilitazioni, rimozione di ostacoli, uguale buonismo, avevano fatto il resto.
Allora cosa fare? L’adolescenza è soprattutto ricerca della propria identità attraverso il confronto fra pari. Questo confronto deve essere il più diretto e spontaneo altrimenti viene vanificato. In un’età in cui l’omologazione con il gruppo è fondamentale, è pacifico che un insegnante di sostegno impreparato e inefficace è di ostacolo alla socializzazione.
Il punto cruciale è anche un altro. L’adolescenza è un campo di addestramento alle battaglie della vita. Dico campo di addestramento solo perché le battaglie dell’adolescenza si svolgono in un ambito circoscritto, contrariamente a quanto avviene nell’età adulta. Per il resto queste battaglie sono cruente come quelle dell’età adulta e generano spesso molta sofferenza. Quanta sofferenza ci può essere nell’adolescenza di un ragazzo cieco? Giocare a calcio, trovarsi una ragazza (o ragazzo), guidare il motorino, incontrarsi con gli amici per strada, fare sciocchezze insieme al gruppo, difendersi dal bullismo, farsi un’idea delle droghe e dell’alcol per poterle evitare, giocare con gli amici alla playstation. Queste sono solo alcune delle tipiche attività di un adolescente. Quasi tutte ruotano attorno alla scuola e al gruppo amicale che in essa si costituisce. Quale genitore non vorrebbe cercare di frapporsi tra il figlio e le difficoltà? Chi non vorrebbe ridurre il potenziale di sofferenza che su un figlio grava?
Ecco che anche l’insegnante di sostegno può sembrarci una buona carta da giocare. Un facilitatore che veglierà su nostro figlio affinché non venga fatto oggetto di bullismo o affinché non debba confrontarsi troppo direttamente con i coetanei.
Nessun genitore può farsi carico delle sofferenze adolescenziali di un figlio. Tutto ciò che possiamo fare è stargli vicino e far sentire loro il nostro appoggio, ma non possiamo sostituirci a loro.
Queste prove devono essere affrontate e non evitate. Questo vale per tutti i ragazzi. Mentre gli altri ragazzi, però, possono almeno illudersi di specchiarsi nei loro coetanei, questi ragazzi dovranno costruire la loro identità e prendere coscienza delle loro abilità e dei loro limiti. Solo così potranno affrontare l’età adulta con fiducia, dignità e autonomia.
La scuola è pronta per queste mete ambiziose? E i genitori? La scuola è in grado di perseguire questi obiettivi, di contribuire a creare degli adulti consapevoli, cittadini efficienti e non un peso per la società?
Fino a quando la formazione degli insegnanti non sarà più specifica, fino a quando gli enti locali non si assumeranno la responsabilità di collaborare con la scuola e di intervenire nell’extrascuola con attività di supporto, fino a quando la qualità della scuola tutta, dal dirigente scolastico alla comunità scolastica non saranno meglio preparati, diremmo non avranno una cultura dell’handicap, fino a quando non si interverrà con un sistema di verifica dei risultati, di organizzazione della classe, di mirata ed efficace utilizzazione di risorse tecnologiche, rischiamo di impiegare tutte le nostre energie per ottenere semplicemente un maggior numero di ore di sostegno dequalificate, disperdendo energie in agoni che non porteranno a grandi traguardi.