L’audizione delle forme

di Augusto Romagnoli (fasc. 1, anno 2015)

[Dal Corriere della Sera del 15 settembre 1909. Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale della Scuola di Metodo “Augusto Romagnoli” per gli educatori dei ciechi, a. 1(1957), n. 1, pp. 5-10.]

L’udito è il senso che in mancanza della vista ne assume principalmente le veci. È noto, e ne scrissi io medesimo recentemente, come l’udito aiuti i ciechi ad orientarsi camminando, a misurare le distanze, a sentire l’ampiezza delle vie, i dislivelli, gli ostacoli di colonne, di alberi, di fanali ed anche di oggetti di assai minore dimensione. Un maggiore acume e soprattutto una maggiore attenzione ed educazione può condurre l’udito più oltre, a percepire, cioè, i contorni degli oggetti, sebbene entro limiti assai più ristretti di grandezze.

Questa mi si conceda chiamare audizione delle forme, come si chiama visione il discernere le forme particolari e distinte nell’indistinto e generico che si chiama ombra.

Le leggi dell’acustica sono le medesime di quelle dell’ottica; e giova avere sempre presente questa identità, quando si debba rendersi conto del come sia possibile ad uno di questi due sensi di sussidiare o supplire l’altro. Teoricamente anzi è aperto il campo alle più grandi illusioni di chi si compiaccia portare alle ultime conseguenze la teoria dell’evoluzione e il principio d’analogia. La luce infatti, come il suono, investe tutte le superfici e ne viene modificata; e queste modificazioni, indefinitamente diverse secondo l’indefinita qualità degli oggetti, percepita per mezzo delle impressioni corrispondenti sui nostri sensi, quando questi fossero sufficientemente affinati, potrebbero darci indifferentemente per l’una o l’altra via la indefinita serie delle immagini corrispondenti alle cose.

Finora tuttavia dobbiamo contentarci di risultati assai modesti, proprio quel tanto, si direbbe, che basta per arrischiare l’ipotesi; ma bisogna pur convenire che siamo ai primordi di questi studi e che abbiamo, quasi, se non esperienze individuali e frammentarie, mentre poi, se l’educazione dei sensi alla loro naturale funzione esige lungo esercizio e studio, molto più ne richiede l’accomodarli a funzioni non proprie.

Io mi misi di proposito sulla via di questa esperienza solo un paio di anni fa, dopo il favore e le obiezioni suscitate da un mio articolo: «La visita di un cieco a San Pietro». [1] Si tratta di “La mia prima vista a S. Pietro”, pubblicato nel Giornale d’Italia il 17 dicembre 1907. Si può rileggere in: A. Romagnoli, Pagine vissute di un educatore cieco, Firenze, UICI, 1944, pp. 93-99 [ndr]. Furono accolte senza o con minori obiezioni le descrizioni della percezione uditiva del colonnato e della facciata, delle fontane e persino dell’obelisco, non ché della grandiosità della cupola; ma appunto perché si trattava di grandiosità e di impressioni forti le percezioni furono riconosciute accessibili anche ad orecchi meno esercitati. Dove invece incontrai maggiori domande di schiarimenti ed anche varie affermazioni di incredulità, fu riguardo a ciò che scrissi del baldacchino centrale. In verità, la percezione uditiva, come pure l’effetto antiestetico di quel baldacchino, è ancora tanto sensibile, che potrebbe confermarsi da ogni cieco di mediocre educazione. Ma è vero pure che a questo punto siamo già entrati nella percezione dei contorni, nella differenziazione delle forme ed oggetti particolari dall’ostacolo generico ed informe, e per così dire, nella determinazione della figura dall’ombra.

Come ciò avvenga mi proverò di chiarire esponendo in qual modo io medesimo feci un passo considerevole per la via della percezione uditiva. Mi trovavo pochi giorni dopo la pubblicazione di quell’articolo in un salotto in compagnia di molte persone; davanti a me, parlando, sentivo la voce mia ripercuotersi in modo singolare contro qualche cosa che era troppo distante perché potessi con un atto inosservato prenderne conoscenza con la mano. D’altra parte più stavo e più mi incuriosivo, specialmente sotto l’impressione com’ero delle obiezioni fattemi riguardo alla percezione del baldacchino di San Pietro. Mi posi dunque ad osservare la mia audizione; all’altezza circa della mia fronte la mia voce era riflessa da un ostacolo largo e non omofono, ma preminente al centro; il quale cioè si ritraeva equamente da ambo i lati in senso orizzontale, riflettendo il suono sempre più smorzato, sino che la vibrazione aerea, avvertita dall’udito, giungeva a sfiorarlo appena in lieve dileguo. Compresi subito che quella era la audizione di una forma circolare, di cui la curva era rilevata al mio udito dall’assenza di risonanze secondarie, quali provengono dai frastagliamenti alquanto pronunziati e dall’informe distendersi del suono involgente senza cambiamenti di direzione come avviene per diversità di facce in un corpo angolare. Ma ciò che metteva in me la smania di sapere che fosse quell’oggetto, era il restringersi sotto a quel circolo espanso dell’ombra sonora in un gradevolissimo degradamento, il quale poi si allarga di nuovo più sotto dolcemente e prendeva in fondo una rilevatezza forte, e, dirò così, aspra, scendendo sino a terra decisa e persistente ai suoi estremi, mentre lasciava un vano angoloso nella parte mediana. Che cosa era, lettori, questa sfinge? Se voi riportate la descrizione dalle parole uditive a quelle della vista, penso che già dovete aver inteso: io fui scusabile se non riconobbi subito la forma, non essendo l’udito mio esercitato se non dall’esperienza inconscia della mia vita e da un poco di riflessione recente, mentre il vostro occhio fu a questo espressamente conformato dalla natura e si è educato dal primo uomo e forse anche da più antichi genitori; e l’industria dei vostri can negli anni tenerissimi dell’educazione, e l’arte del disegno e l’esercizio quotidiano libero e necessario vi ha affinato. Io invece, subito in questo caso, ero impedito dal rispetto umano dall’illustrare col tatto la sensazione uditiva. Se mi fossi alzato in piedi e avessi proteso le mani, avrei scomodate tutte le persone, fatto metter sossopra tutto il salotto: «che. cerca, che desidera, che vuole, perché, per come?». Ma colto con destrezza un momento opportuno, mi accostai alla sfinge ed era… Oh! grullo me di non averlo capito! Era un vaso, un’anfora sopra un tavolinetto quadrato. Povero udito mio! Non mi cruccio, da buon educatore, con lui, come si crucciava meco una nipotina di tre anni, ché non le dessi i passerotti che vedeva posare sui tetti di faccia fuori della vetrata.

Un altro fatto di audizione delle forme è quello dell’altezza, magrezza e grassezza delle persone dal semplice accostarle, come pure debbo riferire a questo proposito di avere più di una volta potuto conoscere il volume e la forma di acconciatura dei capelli di teste, si capisce, femminili. Mi è accaduto anche di riconoscere i contorni generali e l’atteggiamento di qualche statua alla semplice risonanza, e chiunque vuole potrà farne una prova dementare. Mettetevi, per esempio, con gli occhi bendati o in un luogo oscuro e fatevi venire davanti una persona, una volta con le braccia aperte, una volta strette al corpo. Osservate bene le diverse impressioni acustiche, poi comandatele di tornare in uno dei due atteggiamenti, senza dir quale, e lo riconoscerete indubbiamente. Complicate man mano il giuoco, se vi piace, e diverrete ben presto più bravi di me. Un altro esperimento elementare ho adoprato a persuadere molti della possibilità di riconoscere le varie forme architettoniche: prendere un foglio di carta, conformarlo a campana, a cilindro, a scatola, poi ad arco, a timpano, a sesto acuto e via dicendo, in prossimità dell’orecchio dell’ascoltatore, bendati gli occhi ed all’oscuro; osservando bene le differenti risonanze egli potrà dopo poche prove riconoscere alla sola audizione le diverse forme.

È noto come i medici conoscano all’udito lo stato del cuore e dei polmoni e si potrebbero citare molti altri servigi di questo genere che questo senso appresta dove non è possibile la conoscenza per mezzo degli occhi. Chi non ha osservato la differenza di risonanze di una camera nella quale siano stati tolti o aggiunti dei mobili? Ora è un fatto che ogni ambiente ha la sua particolare sonorità dalla quale può essere riconosciuto. A questo proposito una volta un cieco amico mio entro presso un signore per parlare a quattr’occhi (bisognerebbe dire a quattro orecchi) di cose delicate. Siccome il signore aveva interesse che un testimonio fosse presente, fece acquattare, prima che il cieco entrasse, una persona nella stanza. Venuto il cieco per altro, il quale quella stanza conosceva, sentì che qualche cosa vi era più del solito e si mise in sospetto. Egli non avrebbe potuto andare franco a gridare: vigliacco, uomo di mala fede e spietato, poiché non si sentiva abbastanza sicuro dell’udito suo; ma colla prudenza ed astuzia che necessariamente si affina, prese le sue precauzioni e congegnò la trappola per far cadere in flagrante il malo uomo.

Tracciando qualche figura sopra un piano armonico, come ad esempio, una tavola di legno, ed avendo cura di far udire lo strisciamento del tracciato non è difficile riconoscere quella figura all’udito. Un orecchio bene esercitato, non riesce forse, davanti ad un’orchestra a localizzare i diversi strumenti? Parecchi ciechi giuocano bene al cerchio o alla palla seguendone il corso o segnandone la caduta con l’udito: si capisce che deve essere di metallo o d’altra materia sonora.

Sperimentata così la percezione elementare dei contorni e la differenziazione delle risonanze in corrispondenza delle diverse forme, non fara meraviglia che orecchi più educati arrivino non solo a discernere la grandezza e conformazione di ambienti e di oggetti particolari, ma anche a sensazioni artistiche di plastica e di architettura? Ho avuto il piacere di far provare anche a più di uno dei veggenti sensazioni di questo genere. Una volta, per esempio, passeggiando con un amico pittore a Villa Borghese, gli feci osservare l’ombra della fontana dei cavalli marini, attraverso gli alberi, l’ombra sonora, voglio dire, la quale restava assolutamente oscura, quando, camminando, il nostro orecchio si trovava dietro agli alberi, poi si faceva udire via via più forte e distinta, sfiorando i tronchi sino a raggiungere l’intensità piena degli interstizi e a dileguare con opposto ritmo in prossimità degli alberi successivi. La fontana dei cavalli marini ha una curiosissima risonanza ed io mi sono dilettato lungamente più di una volta ad ascoltarla. L’amico trovò il giuoco gradevole ed interessante, aggiungendo questo piacere musicale alla bella vista di quella magnifica giornata di sole.

Alla percezione diretta è poi di sommo incremento l’induzione per opera delle percezioni concomitanti degli altri sensi e soprattutto dell’istruzione. Mediante l’induzione un cieco può sapere descrivere i lineamenti di una persona ed anche indicarne il colore dei capelli e degli occhi e persino giudicare della sua bellezza. Corrono immancabili relazioni tra tutte le qualità costitutive di ciascuno individuo; e tutto sta ad avvezzarsi a cogliere queste concomitanze: ad un dato viso, corrisponde una data voce.

Chiuse le porte principali della sensibilità, l’attenzione si raccoglie alle secondarie; a me, per esempio, anche il tatto di una mano rileva molte qualità fisiche e morali. Chiuse pure le porte secondarie, non dubitate; se vi e forza interna di spirito e di mente troverà l’adito per le finestre e per gli abbaini, come in Elena Keller, cieca e sordomuta, che scrive: «Mi sembra talvolta che tutte le mie fibre siano occhi aperti a percepire l’immensa moltitudine dei commovimenti di questo mare di vita nel quale siamo immersi». Voi distinguete e giudicate le persone al viso, io alla voce, Elena Keller alle mani.

Per quanto educato e raffinato, non mi stanco di ripetere, l’udito resterà, sempre incomparabilmente dietro la vista nella percezione delle forme come pure l’estetica delle risonanze sarà sempre esigua e quasi a dire fuori di casa sua nel campo della luce e dei colori. Ciò non deve contristare i ciechi ed i loro amici: il mondo è grande; esso è come un poliedro di infinite facce, infinitamente diverse per ciascun punto da cui si guardi, ma dovunque vi si può discernere ed ammirare la regolarità e struttura, pur di avere mente geometrica e cuore aperto da gustare questa onnipresente armonia di angoli, di linee, di piani.

Quanti hanno occhi e non vedono! La luce del sole è per molti un velo di fulgore che nasconde l’intimo delle cose. Il giorno fa brillare i fiori della terra che passano, ma eclissa le stelle.

«Fiori del cielo che non passano mai».

Se l’udito è imperfettissimo ministro della percezione delle forme corporee, è assai migliore della vista in quelle spirituali. Chi preferirà il fenomeno alla legge, il gesto alla parola, le armonie dei colori alle armonie dei pensieri? L importante è questo: poiché «Ogni nostra conoscenza parte dal senso»; l’importante è che l’udito supplisca funzionalmente la vista quanto basti perché un cieco possa educarsi a partecipare a tutte le conoscenze e i diletti che formano il patrimonio intellettuale ed estetico della comune società.

La testa ed il cuore di un cieco possono dunque empirsi dei medesimi concetti e sentimenti degli altri uomini; che importa se le immagini costitutive di questi concetti e le sensazioni eccitatrici di questi sentimenti siano diverse? Le immagini sono simboli e le sensazioni non escono mai dall’individuo.

Chi sa che anzi da queste diversità non siano destinate a nascere nuove risorse alle scienze ed alle arti per la scoperta dei nuovi aspetti del vero e nuove forme del bello?